Venerdì, 19 Aprile 2024

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salute

LA SALUTE DEL BRITISH SHORTHAIR

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HCM
Cardiomiopatia Ipertrofica Felina (HCM)

L'HCM é una malattia genetica che colpisce i gatti, i cani, i suini e le persone. Non é ancora chiaro come venga trasmessa attraverso le generazioni. Dagli anni '70 si sa che l'HCM é causa di attacchi di cuore, trombosi e morte improvvisa dei gatti.  L'HCM è genetica?
Nel Maine Coon e nel British Shorthair, l'HCM è stato confermato come un carattere dominante  ereditato, come è negli esseri umani per i quali è stata attribuita la causa della malattia a più di 200 mutazioni del gene in 10 geni. La malattia ha un'espressione variabile; ciò significa che alcuni gatti sono gravemente colpiti, altri sono solo lievemente o moderatamente colpiti, e alcuni gatti possono non avere la prova della malattia, ma producono una prole affetta. Recentemente è stata identificata una mutazione della miosina cardiaca legame della proteina C (cMyBP-C) del gene che causa l'HCM nel Maine Coon. Indubbiamente rimangono da scoprire altre mutazioni responsabili di HCM nei gatti. La mutazione identificata come una causa di HCM nei Maine Coon non è la stessa mutazione o anche lo stesso gene in altre razze. La genetica dell'HCM in ogni razza richiederà indagini in ogni singola razza.L'HCM é caratterizzata da un inspessimento anormale del muscolo cardiaco, soprattutto all'altezza del lato sinistro del cuore. A causa di questo inspessimento del muscolo cardiaco il cuore diventa meno elastico, e questo comporta una maggiore difficoltá ad alimentarsi. Una seconda conseguenza é che c'é meno spazio per il sangue nel ventricolo sinistro, e questo comporta che, a ogni battito, viene pompato meno sangue del normale. Lo spessore del muscolo cardiaco puó creare il flusso turbolento del sangue, o fuoriuscita di alcune valvole. Questo puó causare un soffio cardiaco che puó essere auscultato da un veterinario con lo stetoscopio. I gatti che soffrono di HCM possono avere fluidi nei polmoni o intorno ad essi, e questo puó rendere la respirazione difficile. Altri animali possono non mostrare alcun sintomo, ma possono morire improvvisamente, per lo piú a causa di un improvviso e grave disturbo nel ritmo cardiaco. Alcuni gatti sviluppano grumi del sangue che possono causare la paralisi delle zampe posteriori. LHCM non é un difetto congenito, ma una malattia che si sviluppa molto lentamente. I gatti che soffrono di HCM spesso non mostrano alcun sintomo prima dei 6 mesi di vita, e possono trascorrere diversi anni prima di poter fare una diagnosi di HCM. Dunque é necessario avere uno specialista che faccia una ecocardiografia in varie occasioni. Il Club svedese del gatto Maine Coon ha approntato un programma sanitario con data di inizio 1 gennaio 2004. Tutte le razze sono benvenute a far parte di questo programma, portato avanti in Italia dallOsservatorio Italiano HCM felina.
Esiste una cura?
Purtroppo non esiste cura per l HCM, peró i gatti che ne soffrono possono essere trattati con medicinali. Vengono usati, a seconda dei sintomi dell'animale e dello stato del cuore, Beta bloccanti e/o ACE-inibitori.  Come si svolge un test per HCM
Il gatto viene esaminato con un macchinario a ultrasuoni (test ecocardiografico) attraverso il quale si evidenziano zone ispessite in maniera anormale, frequenza dei battiti cardiaci e flusso sanguigno. L'esame non causa so
Nel Marzo del 2008 è nato l'OSSERVATORIO ITALIANO HCM FELINA che intende coordinare e standardizzare la raccolta dei dati clinici, genetici ed ecocardiografici in Italia con lo scopo di elaborarli e fornire linee guida condivise da medici veterinari, genetisti ed allevatori per la gestione HCM.
L' Osservatorio nasce dalla collaborazione tra: Gli allevatori Italiani, coordinati dal Maine Coon Club Italiano, che si impegnano a promuovere lo studio della malattia, a vigilare sul rispetto delliter diagnostico  e della convenzione concordata con veterinari e genetisti. Il laboratorio di analisi genetiche molecolari VetoGene, spin.off dell'Università degli Studi di Milano, che esegue i test genetici, li elabora e ha creato un database per gli studi genetici. E' inoltre responsabile della creazione di una banca biologica di sangue che verrà conservata per i prossimi 10 anni e che potrà essere condivisa da networks internazionali. Ecocardiografisti Clinici Universitari e non, coordinati da AVIEC (Ass. Veterinaria Italiana di Ecografia Clinica) che hanno lo scopo di eseguire gli esami ecocardiografici e raccogliere i dati clinici. I dati raccolti vengono inseriti tramite internet in un modulo cardiologico ed inviati in un database interfacciato con Vetogene. Per aderire all'Osservatorio e quindi usufruire del regime di convenzione, è obbligatorio che i gatti abbiano il microchip, che siano sottoposti ad ecocardiografia intorno allanno di età e che il proprietario garantisca il controllo del soggetto dopo 6 o 12 mesi: Dopo 6 mesi se i rilievi ecocardiografici sono dubbi (spessori >/= 5,5 mm o muscoli papillari lievemente ipertrofici) o patologici (> 6 mm con evidente ipertrofia dei muscoli papillari). Se l'esame ecocardiografico è compatibile con HCM (ipertrofia di qualunque segmento della parete ventricolare sx o del setto interventricolare maggiore o uguale 6,5 mm) viene prelevato un campione di sangue per eseguire creatininemia (Crea), uremia (Bun), ormone T4 al fine di escludere HCM secondaria. Dopo 12 mesi se i rilievi ecocardiografici sono normali (spessori TABELLA RIASSUNTIVA CLASSIFICAZIONE HCM
Spessori ventricolari sx diastolici fino 5,5 mm HCM: assente - controllo fra 12 mesi Spessori ventricolari sx diastolici 5,5 a 6,0 mm HCM: border line - controllo dopo 6 mesi
Spessori ventricolari sx diastolici 6,0 a 6,5 mm HCM: lieve - controllo dopo 6 mesi
Spessori ventricolari sx diastolici 6,5 a 7,0 mm HCM: moderata - controllo dopo 6 mesi.L'osservatorio in pochi mesi ha raggiunto diversi obiettivi assai ambiziosi:
- Ha creato per la prima volta un serio rapporto di collaborazione scientifica e pratica tra allevatori, ricerca-Università, veterinari operanti sul territorio.
- Ha fornito dati di prevalenza del problema in Italia;
- Ha chiarito alcuni dubbi sullopportunità di alcune genotipizzazioni;
- Ha confermato unevoluzione della patologia a diverso grado in relazione al genotipo;
- Ha fornito indicazioni di tipo selettivo su base scientifica che starà poi agli allevatori e alle loro associazioni decidere se e come recepire, senza che nulla sia imposto, ma sempre in unintento di massima comprensione e collaborazione, non disgiunto tuttavia dalla serietà professionale;
- Ha iniziato a creare una banca dati e biologica che dovrà essere ampliata, ma che è il core iniziale di una banca genetica italiana del gatto che potrà in futuro essere un patrimonio per i proprietari, le associazioni e la ricerca. 
 

PKD
La malattia del rene policistico (PKD in anglosassone) è una condizione ereditaria che porta alla formazione di più cisti (sacche di fluido) nei reni. Queste cisti sono presenti fin dalla nascita nei gatti colpiti ma sono inizialmente delle piccole formazioni poco visibili che poi tendono ad aumentare gradualmente di dimensioni fino a compromettere tutto il tessuto circostante normale dei reni causando infine insufficienza renale. Dato che le cisti di solito crescono molto lentamente, la maggior parte dei gatti non mostrano alcun segno di malattia renale se non relativamente tardi nella loro vita, in genere intorno ai sette o otto anni. Tuttavia, in alcuni gatti il quadro da insufficienza renale può evolvere più rapidamente e comparire quindi già in giovane età. Inoltre i gatti colpiti presentano spesso una evidente distensione addominale dovuta allaumento di volume dei reni per lo sviluppo di cisti di dimensioni anche consistenti contenenti liquido. La PKD è provocata da un disordine genetico determinato da un gene autosomico dominante che colpisce i gatti persiani e le razze a loro correlati. La causa è la mutazione 307CA nel gene PKD1. I soggetti affetti ereditano un gene difettivo da uno dei genitori e trasmettono questo gene a circa la metà della loro discendenza. Tra i persiani degli Stati Uniti circa il 38% presenta il gene difettivo e sono quindi affetti dalla malattia. In Europa i dati sono forse ancora più preoccupanti perchè secondo alcune indagini si può arrivare sino al 60% di soggetti portatori della mutazione. Specifichiamo che ciò non vuol dire che l'animale sia ammalato, ma solamente che in caso di accoppiamenti può trasmettere il gene che causa la malattia. Sino a poco tempo fa l'unico sistema valido per effettuare la diagnosi era lecografia renale eseguita già ai cuccioli. A 10 mesi di età circa il 98% dei gatti ammalati veniva correttamente diagnosticato. Ad oggi è diventato disponibile il nuovo test sul DNA per la PKD, sviluppato dalla Dr. Leslie alla università della California (UC-Davis). Il test va a ricercare la mutazione nel corredo genetico del gatto; è quindi possibile una diagnosi a qualunque età. Anche in Italia vi sono oramai numerosi laboratori veterinari che offrono commercialmente la possibilità di eseguire lesame. In caso di esito negativo il gatto non è portatore della mutazione PKD 307CA, (Genbank Acc. Nr. AY612847) ed è dunque geneticamente sano per una PKD e non può trasmettere l'allele PKD-mutante alla discendenza. La patologia viene determinata dalla mutazione summenzionata solo nelle seguenti razze: gatti Persiani, Himalaya e Siamesi, Ragdoll, European Shorthair, American Shorthair, British Shorthair, Exotic Shorthair, Selkirk , Rex e Scottish Fold. Recentemente in Gran Bretagna sono stati confrontati i risultati di ecografia, PCR real-time e genotipizzazione per il rilevamento del gene PKD AD - 72 in differenti razze di gatti persiani e correlati. Sono stati esaminati 506 pazienti e, ad eccezione di 2 gatti in cui la diagnosi ecografica renale era stata equivoca, si è riscontrato un accordo del 100% tra le tre metodiche. I test genomici hanno lavorato altrettanto bene sia utilizzando tamponi buccali che campioni di sangue. Con l'avvento dei test molecolari per determinare lo stato AD - PKD in Persiani e razze correlate dovrebbe essere possibile eradicare la mutazione dalla popolazione felina in allevamento selettivo, a patto che ve ne sia la volontà da parte delle associazioni nazionali.

 

L’IMMUNODEFICIENZA FELINA (FIV)

L’Immunodeficienza felina è una malattia infettiva contagiosa causata da un virus molto simile a quello dell’AIDS umana, ma ad esclusivo svantaggio del gatto: solo e soltanto il gatto è recettivo al virus FIV. La patologia rappresenta, quindi, un’infezione persistente a carattere cronico-recidivante.

La malattia nel gatto è molto più facile da comprendere se messa in relazione con l’analoga malattia nell’uomo, pur ripetendo che si tratta di due patologie ben distinte che non si trasmettono da gatto a uomo e viceversa. Il virus responsabile dell’Immunodeficienza felina è un lentivirus appartenente alla famiglia Retroviridae. Le peculiarità di questo virus fanno sì da renderlo poco resistente nell’ambiente esterno: di conseguenza l’infezione avviene per contatto stretto tra gatto infetto e gatto sano. Inoltre il contatto deve essere molto intimo, come ad esempio il contatto di sangue (lotte tra gatti) o quello sessuale (durante l’accoppiamento o il parto).

Com’è possibile sapere se un gatto è a rischio o meno?
Per via delle modalità di trasmissione del virus, è facile immaginare che i gatti maggiormente a rischio sono innanzitutto i randagi o quelli di proprietà che vivono comunque in uno stato di semilibertà. Tra questi, inoltre, i soggetti maggiormente esposti sono i maschi adulti non castrati (più spesso coinvolti in combattimenti per accaparrarsi territorio, femmine, cibo, ecc.) e le femmine fertili (per trasmissione sessuale).


Cosa avviene dopo che il gatto contrae l’infezione?
Una volta che il virus FIV penetra nell’organismo, fa in modo che il suo genoma si integri irreversibilmente e perma-nentemente nel DNA di alcune importanti cellule del sistema immunitario del gatto, tra le quali i linfociti T: questo fenomeno esita progressivamente in una brusca riduzione di numero di queste cellule, che si traduce in un grave indebolimento delle difese immunitarie.

E allora?
L’inesorabile e inarrestabile consumo delle cellule del sistema immunitario comporta l’esposizione dell’organismo a qualsiasi agen-te patogeno, rendendolo molto sensibile alle infezioni secondarie. La fase terminale dell’Immunodeficienza felina si manifesta con l’insorgenza di una o più malattie secondarie (spesso anche di per sé solitamente banali) che portano a morte il gatto.


Esiste una cura per questa malattia?
Purtroppo, allo stato attuale, non esiste alcuna terapia in grado di far guarire un gatto ammalato di Immunodeficienza felina. Unica terapia possibile è quella di supporto in caso d’infezioni secondarie, ma resta comunque un palliativo incapace di guarire definitivamente l’animale.

In che modo si può prevenire la malattia?
Così come nel caso dell’AIDS umana la vaccinazione non è ancora disponibile, pur essendoci in corso degli studi sull’argomento. L’unico mezzo efficace che ci consente di prevenire la malattia resta quello di impedire l’infezione e quindi il contatto tra gatto infetto e gatto sano.

Come faccio a sapere se il mio gatto è infetto oppure no?
È buona norma, quando si accoglie un gatto in casa, fare un test per la diagnosi delle più gravi e subdole malattie infettive, tra cui l’Immunodeficienza felina e la Leucemia felina.
Infatti, queste malattie sono caratterizzate da un lungo periodo d’incubazione (anche di anni!), nell’arco del quale può non osservarsi alcun sintomo nel gatto infetto. In considerazione di ciò risulta saggio testare subito il proprio gatto, anche se non presenta alcun sintomo e sembra scoppiare di salute: un test precoce consente di gestire al meglio il paziente, sia dal punto di vista vaccinale e/o terapeutico che socio-ambientale (ad esempio, l’inserimento del nuovo gatto in un ambiente già frequentato da altri gatti).
Il test consiste nell’analisi di una piccolissima quan-tità di sangue che, a discrezione del Veterinario, sarà analizzata in laboratori specializzati oppure direttamente in Ambulatorio tramite test rapidi che forniscono risultati affidabili e praticamente immediati.

E se il test risulta positivo per FIV?
La positività al test dimostra l’infezione persistente: ciò significa che il gatto ha sicuramente contratto il virus e che non c’è speranza di guarigione. Una diagnosi di questo tipo induce il Veterinario, innanzitutto a consigliare di evitare categoricamente il contatto con gatti sani, in modo da evitare il contagio; in secondo luogo si dovrebbero eseguire esami diagnostici collaterali finalizzati a studiate la malattia per poter emettere un parere prognostico ed eventual-mente impostare una terapia adeguata.

IMPORTANTE: un’eccezione a quanto detto è rappresentata dal caso in cui il test viene effettuato su gatti di età non superiore a sei mesi. In questa situazione, un risultato positivo potrebbe non essere indice d’infezione in quanto il test va alla ricerca degli anticorpi: di conseguenza, anche l’eventuale presenza di anticorpi materni nel gattino potrebbe interferire con il risultato e far dichiarare positivo un gattino che in realtà è sano.
In definitiva, un test positivo per FIV su un gatto di età inferiore a sei mesi andrebbe sempre e comunque ripetuto a distanza di tempo per confermare o meno il risultato.

LA LEUCEMIA FELINA (FeLV)
La Leucemia felina è una malattia infettiva contagiosa caratterizzata da un lungo periodo d’incubazione e da manifestazioni cliniche neoplastiche e non neoplastiche progressivamente ingravescenti.
Questa complicata malattia è causata da un oncovirus appartenente alla stessa famiglia del FIV, della quale conserva le caratteristiche principali come la scarsa resistenza nell’ambiente esterno e la trasmissione per contatto diretto. Come si trasmette l’infezione da FeLV?
Il virus FeLV si trasmette attraverso il contatto di sangue ma può essere trasmesso anche dalla saliva, che rappresenta un elemento epidemiologico molto importante. Per dovere di cronaca è bene precisare che anche il FIV è stato isolato nella saliva dei gatti infetti, ma in concentrazioni tali da ritenere improbabile la trasmissione in assenza di lesioni gengivali.
In definitiva, a differenza dell’Immunodeficienza felina, in questo caso l’elemento epidemio-logico più importante per la trasmissione del virus è la saliva e non il sangue! Conseguentemente, le modalità di contagio sono molto più subdole, in quanto è sufficiente condividere la stessa ciotola o il leccamento tra gatto infetto e gatto sano per permettere la trasmissione del virus FeLV.
Da non sottovalutare, inoltre, la trasmissione da madre a gattini, sia durante la gravidanza (attraverso la placenta) che dopo la nascita (attraverso il latte e il leccamento).
Che succede se il test è positivo per FeLV?
Domanda interessante! Nel caso del FIV, un risultato positivo (con le eccezioni di cui sopra) significa che il gatto è infetto in maniera perma-nente e irreversibile; nel caso della Leucemia felina le cose sono un po’ diverse.
Una volta penetrato per via oro-nasale, il virus FeLV replica localmente prima di andare incontro a un destino che differisce notevolmente, in relazione al grado di efficienza del sistema immunitario del gatto. In alcuni casi, infatti, la risposta immunitaria è talmente valida da combattere l’infezione ed eliminare definitivamente il virus FeLV dall’organismo nell’arco di alcune settimane.
Allora si può guarire dalla Leucemia felina?
Purtroppo è un po’ azzardato parlare di guarigione.... Tuttavia, quanto appena detto assume notevole importanza dal punto di vista dell’interpretazione del test: un risultato positivo non deve rappresentare subito una condanna ma indurre il Veterinario e il proprietario del gatto a sperare che il virus si trovi in uno stato di viremia transitoria, programmando per tanto la ripetizione del test a distanza di alcune settimane.
Il test di controllo potrà confermare la positività precedente (avvalorando la diagnosi) oppure dare esito negativo (nel caso in cui il sistema immunitario del gatto sia stato sufficientemente efficace da eliminare il virus dall’organismo).
Esiste un vaccino per la FeLV?
Fortunatamente, a differenza dell’Immuno-deficienza felina, per la Leucemia esistono varie tipologie di vaccino (inattivati, a sub unità e ricombinanti), in grado di conferire un elevato grado di protezione.
Ad ogni modo, la vaccinazione per questa malat-tia andrebbe consigliata soltanto nei casi a rischio: nella fattispecie, non ha molto senso vaccinare gatti che vivono solo ed esclusivamente in casa e per i quali non vi è alcun rischio di contagio. È invece consigliata la vaccinazione per tutti quei soggetti che normalmente possono venire a contatto con altri gatti, così come nelle colonie, negli allevamenti e nei gattili.

ISOERITROLISI NEL GATTINO NEONATO

L’anemia emolitica neonatale nel gattino è una patologia che si manifesta nel neonato in seguito ad un’incompatibilità di gruppi sanguigni materno-fetali. L’immunizzazione della madre contro il gruppo sanguigno di uno o più feti determina la produzione di anticorpi. Questi ultimi vengono trasferiti al neonato tramite il colostro nelle prime 12-18/h di vita. Le conseguenze possono essere letali in quanto queste immunoglobuline sono in grado di agglomerare e consumare i globuli rossi del neonato determinando una grave emolisi intera ed extravascolare. Questa grave patologia si riscontra con maggior frequenza nel gattino e si può verificare già al primo parto in assenza di una sensibilizzazione materna preliminare. L’evento scatenante è legato al gruppo sanguigno materno. Si ricorda che nel gatto è stato descritto un unico sistema di gruppi sanguigni che riunisce due antigeni, espressi sia da soli sia in combinazione: tipo A, tipo B e tipo AB. Solo un terzo di gatti di gruppo A possiede anticorpi anti-B che hanno uno scarso potere immunogeno. Al contrario tutti i gatti appartenenti al gruppo B possiedono anticorpi anti-A a titolo elevato e ad alto potere immunogeno. La patologia in questione è stata osservata solo nel caso di accoppiamenti tra madre di gruppo sanguigno B e padre di gruppo sanguigno A. Da quest’ unione nasceranno gattini di gruppo A o AB che assumeranno anticorpi anti-A dalla madre tramite il colostro. Questi anticorpi una volta raggiunto il circolo dopo l’assorbimento intestinale determineranno la distruzione dei globuli rossi neonatali con conseguenze drammatiche. La gravità della sintomatologia è proporzionale alla velocità d’insorgenza. Tutto dipende dalla quantità di anticorpi fabbricati dalla madre che passa nel latte ed è assorbita a livello intestinale dai cuccioli (per l’assorbimento occorrono da 36 a 72 ore).
Più il tasso anticorpale è alto e più in fretta la malattia porterà alla morte del cucciolo, più il tasso anticorpale è basso più i cuccioli avranno possibilità di superare la crisi.

Si riconoscono tre forme suddivise in base alla velocità d’insorgenza e alla gravità della patologia.
Forma iperacuta: morte dei nascituri nei primi istanti di vita senza sintomi apparenti.
Forma acuta: si riconoscono tra i sintomi debolezza, incapacità di attaccamento alla mammella, anoressia, deperimento, emoglobinuria, ittero, necrosi della punta della coda, necrosi delle estremità.
Forma subacuta: a volte l’unico sintomo in questa forma è la necrosi della punta della coda e la maggior parte dei nascituri sopravvive.

La diagnosi viene fatta in base ai sintomi nel gattino, sospetto per razze predisposte, miglioramento delle condizioni del gattino dopo allontanamento dalla madre, determinazione del gruppo sanguigno dei riproduttori, autopsia (spleno-epatomegalia, ittero). Il trattamento prevede l’allontanamento dei nascituri dalla madre e la somministrazione di latte artificiale o l’adozione da parte di una balia.
Dopo circa 48 ore i neonati si possono ricongiungere con la madre poiché l’assorbimento di anticorpi tramite l’intestino non può più avvenire a causa di una violenta modificazione di permeabilità della mucosa intestinale. In via preventiva bisogna sempre conoscere il gruppo sanguigno della madre. Se appartenente al gruppo A o AB non ci saranno rischi.
Se appartenente al gruppo B bisognerà farla accoppiare con riproduttori appartenenti al gruppo B. Se l’accoppiamento tra femmina di gruppo B e maschio di gruppo A o AB vuole essere ugualmente realizzato, bisogna evitare che i cuccioli prendano il latte dalla madre, almeno per i primi tre o quattro giorni, dandoli a balia a una femmina di gruppo A o utilizzando l’allattamento artificiale. In conclusione possiamo capire quanto sia importante determinare il gruppo sanguigno di due riproduttori, soprattutto se di razza predisposta, giacché gli anticorpi presenti nel colostro materno potrebbero scatenare l’insorgenza della malattia emolitica nei nascituri.

Acne felina: cos’è, come si manifesta e come si cura

Andremo a parlare di una malattia dei gatti poco conosciuta dai proprietari ma anche dai veterinari: l’acne felina, una particolare malattia dei gatti sicuramente non mortale ma comunque fastidiosa per il gatto che, leccandosi e graffiandosi, potrebbe peggiorare la situazione..

Acne felina: che cos’è l’acne dei gatti

Anche se può sembrare strano, l’acne dei gatti è una patologia molto simile all’acne umana, quella che tutti abbiamo avuto quando eravamo adolescenti. E proprio come l’acne umana è difficile da eliminare (e chi l’ha avuta ne sa qualcosa), anche quella felina è difficile da togliere.

Sintomi acne felina

La malattia, detta anche acne del mento del gatto, si chiama così perché la zona dove si manifesta è proprio quella del mento, e nei casi più gravi si espande anche alle labbra, ma poi si ferma lì senza interessare altre parti del corpo.

Da notare che, nonostante tutto, le parti colpite si possono toccare, perché l’acne felina non è contagiosa, insomma il contagio con uomo è impossibile, in quanto ad essere contagiose sono solo le malattie infettive. Le cause di questo problema, a tutt’oggi, sono sconosciute:
secondo qualcuno acne felina e alimentazione sono collegate, secondo altri dipende invece da un problema ormonale;
gli studiosi pensano che si tratti di un problema dei gatti con il pelo più lungo, dovuto al fatto che non riescono a raggiungere bene la zona per pulirsela e quindi si crea un’ostruzione al normale ciclo del pelo del gatto;
un’altra ipotesi è quella riguardante la plastica che compone le ciotole per il cibo (visto che le ciotole per animali, ad oggi, non rientrano nella normativa relativa ai materiali a contatto con gli alimenti, in quanto i mangimi non sono alimenti, pertanto potrebbero essere dannose) che potrebbe causare allergie. Se le cause però sono sconosciute, sappiamo che cosa succede: in pratica, il follicolo pilifero appare ostruito, perché la cheratina (il pigmento nero) della pelle che si trova all’interno del buco che contiene il pelo lo ostruisce. I peli, come tutti sappiamo, crescono e poi cadono, per essere sostituiti da un pelo nuovo che si trova sotto; se questo pelo trova un tappo che ne ostruisce il passaggio, ecco che non riesce ad uscire e si espande sotto. Così il follicolo appare rigonfio e con un tappo di cheratina, tipo un vulcano tappato: quello è il comedone, o punto nero.

Infezione acne felina

Se la situazione viene lasciata così, generalmente al gatto la cosa da fastidio e tende a graffiarsi o a strofinare il mento dappertutto; lo strofinamento porta all’infezione, e così possiamo avere anche la formazione di pus sotto il tappo, per ingresso dei batteri; a questo punto abbiamo la follicolite, eventualmente purulenta, che è una situazione peggiore delle altre.

Acne felina: cura e rimedi

Generalmente il proprietario si accorge del problema accarezzando il gatto, e lo porta dal veterinario. Per lui, la diagnosi dovrebbe essere semplicissima e non dovrebbe aver bisogno di alcun tipo di analisi, perché il problema è evidente. Per risolverlo, come abbiamo accennato all’inizio, non c’è particolarmente bisogno di medicinali o cose simili; bisogna mettere la parte malata in condizioni di guarire da sola. Essenzialmente bisogna disinfettare, e c’è chi preferisce provare, per l’acne felina, le cure naturali o i rimedi naturali: fate tranquillamente, perché comunque vada bisogna sempre aspettare perché il gatto guarisca. La prima cosa da fare è quella di tosare il mento e la parte colpita dall’acne, perché bisogna dar modo di respirare. Infatti, il problema è che il tappo di cheratina dopo un po’ viene via da solo, ed è allora che i batteri entrano nel follicolo; tosare toglie umidità alla zona e impedisce l’instaurarsi dell’infezione.

Questa è la follicolite.

Chiaramente dobbiamo dare una mano a nostra volta: si utilizzano generalmente dei detergenti, sempre per evitare l’infezione. Se noi ogni sera passiamo un detergente sulla parte, il tappo verrà via e il pelo avrà modo di fuoriuscire, risolvendo così il problema.
I tempi, chiaramente, sono di diverse settimane e dobbiamo avere molta pazienza e ripetere ogni sera la terapia. Per quanto riguarda la scelta del detergente, per l’acne felina sapone di marsiglia, acqua ossigenata diluita in acqua, e antibatterici naturali, in linea di massima, vanno tutti bene; la scelta finale è però del veterinario che dovrà valutare a che stadio si trova l’acne. Se è ai livelli iniziali, un po’ di acqua ossigenata basta. Se siamo ai livelli della follicolite ci sta di aver bisogno di qualcosa di più forte, nei casi estremi anche sistemico (da mangiare, delle pillole) ma questo come già detto non possiamo deciderlo noi.

Seguendo la terapia indicata dal veterinario, poi, riusciremo con calma a eliminare la situazione, che si risolverà e il mento del gatto tornerà ad essere quello di sempre. Naturalmente, a fianco di questi rimedi diretti bisogna fare attenzione anche ai rimedi indiretti: il gatto deve stare in ambiente pulito (ad esempio dove dorme e appoggia il mento, o dove mangia, quindi la ciotola); l’acqua da cui beve non deve essere sporca e qualcuno consiglia di sostituire le ciotole in plastica con ciotole in metallo,ceramica o vetro, qualora il problema fosse di natura allergica. Che poi non lo sappiamo se la causa è l’allergia o meno, ma nel dubbio meglio provare. Unica cosa che consiglio è fare attenzione a tutti gli aspetti che abbiamo elencato: se non lo facciamo, il rischio di recidive è alto e potremmo tornare, magari dopo poche settimane, nella situazione iniziale; non è un problema in grave, insomma, ma la risoluzione non è da prendere alla leggera.

 

 

 

 

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storia e carattere

Origini del British Shorthair

Tutto fa pensare che il British Shorthair sia nato dagli incroci dei gatti che i legionari romani portavano con loro nell’antica Britannia con esemplari felini locali. Il suo pelo folto e corto, dotato di un magnifico sottopelo denso, deriverebbe quindi dalla necessità di adattarsi al clima della Gran Bretagna e per proteggersi dall’umidità e dalla pioggia.

Riconoscimento e sviluppo della razza La razza venne riconosciuta la prima volta nel 1871, durante una mostra felina organizzata a Londra dall’artista Harrison Weir. Sia la Prima che la Seconda Guerra Mondiale decimarono la popolazione felina appartenente a questa razza e per poterla recuperare ci fu bisogno di ricorrere a numerosi incroci, soprattutto con i maestosi gatti Persiani.

Carattere

Il British è una razza di gatto dal carattere molto particolare, sa stare in casa da solo senza fare casini o dispetti, essendo gatti stabili ed equilibrati, adatti quindi come gatti indoor-only, cioè per la vita d'appartamento. Non esigono molte attenzioni, perciò anche se il proprietario dovesse assentarsi per qualche ora il british non soffrirà di solitudine, poiché ha una tendenza molto spiccata a giocare, anche da solo. I British Shorthair, nonostante la propensione al gioco, non sono iperattivi, sono molto tranquilli e possono anche dormire molte ore al giorno, preferendo stare vicino ai loro proprietari, piuttosto che su di essi. Potrebbero supervisionare la famiglia da un trespolo comodo o forse dal pavimento. Talvolta seguono il padrone in maniera quasi persecutoria! I British sono gatti adatti alla gente che lavora, in quanto non hanno problemi nell'oziare semplicemente in giro per casa mentre il loro proprietario è fuori. Questi gatti non hanno stimoli distruttivi e generalmente non hanno bisogno di altri animali da compagnia, anche se non hanno problemi nel convivere con un altro British Shorthair o un altro gatto con temperamento simile o con anche cani. Questi gatti amano particolarmente essere coccolati e non sono una razza particolarmente rumorosa, anche se i miagolii non mancano, soprattutto nel momento del cibo o mentre giocano. I British Shorthair hanno la tendenza a seguire le persone da una stanza all'altra per stare con il loro proprietario e vedere cosa sta succedendo. Ad altri non importa di essere coccolati e la maggior parte di questi gatti preferisce mantenere le quattro zampe per terra mentre è coccolato, piuttosto che essere preso in braccio.

La razza è diventata una delle preferite dagli addestratori di animali a causa della sua natura e intelligenza e negli ultimi anni questi gatti sono apparsi in molti film di Hollywood e spot televisivi. Possono imparare piccoli accorgimenti spontaneamente. Ma il British divenne famoso pure grazie ad una favola… Quando Lewis Carroll pubblicò il suo famoso romanzo Alice nel paese delle meraviglie, nel 1865, non sapeva che avrebbe contribuito a rendere il British Shorthair molto popolare in tutto il mondo. Infatti lo Stregatto, il famoso personaggio felino della storia, che aveva il dono di apparire e scomparire a suo piacimento, è il tipico gatto di strada inglese, esattamente come gli antenati del British Shorthair.

 

 

Il carattere di questo gatto viene descritto come:

  • Solido

Il British Shorthair tanto è un gatto solido fisicamente quanto lo è psichicamente. Il British è molto posato, non si lascia andare a crisi nevrasteniche e non alza la voce, non graffia e non morde per rabbia o per paura (al massimo mordicchia per giocare, ma facendo sempre grande attenzione a non superare i limiti consentiti e quando mette le zampe sulla faccia del padrone tira sempre dentro le unghie).

  • Indipendente

Il British è un gatto dominante, indipendente e molto fiero, con un gran senso della dignità personale. Adora stare in compagnia e tende a seguire i padroni per tutta la casa come un cagnolino, sistemandosi spesso sui tavoli o sulle sedie o in qualche posizione da cui abbia la panoramica dei movimenti della famiglia umana. Non ama farsi stringere e strapazzare inutilmente e decide lui quando è l'ora delle coccole. Se troppo manipolato recalcitra con le zampine anteriori e si ritira per un po' per conto suo.

  • Affettuoso

È un gatto affettuoso, dolce ed estremamente legato alla famiglia di cui si sente un membro alla pari.

  • Adattabile

Il British è più legato ai padroni che alla casa. Si adatta bene ai cambiamenti e ai viaggi. Il cambio di ambiente è anzi un'occasione per esplorare nuovi orizzonti, con la curiosità innata che lo contraddistingue. Il British è anche molto paziente con i bambini e se proprio non ce la fa più, piuttosto che far loro male si nasconde in qualche posto dove può stare in pace per un po'.

  • Cacciatore e giocherellone

Il British ha un istinto da cacciatore che in campagna si rivela con roditori, uccelli e lucertole e che, in appartamento, si sfoga sugli insetti di ogni tipo. Alla vista di un moscerino il British si illumina e inizia ad avvicinarsi circospetto emettendo un caratteristico suono acuto di allarme, fino a piombare sulla preda. Il British ama anche molto il gioco, in particolare quello che gli ricorda la caccia, ama rincorrere la pallina che gli si tira e può imparare a riportare piccoli oggetti (corde o topolini di pezza).

I British Shorthair non richiedono molte cure, anche se è un bene spazzolarlo una volta a settimana, essi hanno bisogno di qualche attenzione in più rispetto alle altre razze a pelo corto: il mantello compatto e denso deve essere spazzolato con una certa frequenza, soprattutto durante il periodo della muta. I British Shorthair possono essere soggetti all'obesità, soprattutto se sterilizzati o tenuti al chiuso, quindi si deve curare la loro dieta.